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Operatività sui Fondamentali

In questo articolo: introduzione sull'operatività sui mercati finanziari azionari basata sui fondamentali, cenno su formule magiche e value investing

INDICE CORSO DI BORSA     TRADING WAYS

 

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L'operatività sui fondamentali è quella modalità d'azione sui mercati finanziari, tipicamente sul settore azionario, che cerca di utilizzare alcuni parametri economici aziendali per valutare la bontà di un titolo (di credito, ossia di un'azione) e la sua convenienza in un particolare momento. Prevede quindi di acquistare "a buon prezzo", ossia sotto il suo valore intrinseco ("a sconto") e quindi di investire, tipicamente con un orizzonte di lungo periodo e potenzialmente anche "per sempre", rispetto allo speculare su movimenti di breve/medio periodo. In una prima semplificazione l'operatività sui fondamentali potrebbe essere assimilata a quella del "cassettista" (ossia di un soggetto che investe su delle aziende conservando nel cassetto i titoli per tirarli fuori quando hanno raggiunto delle performance obiettivo) od alla prassi del value investing, ossia di colui che compra titoli di aziende che sono sotto-quotate rispetto ai fondamentali e cha hanno inoltre determinate caratteristiche "finanziarie", nel presente (e non nel futuro), che suggeriscono di divenire parte del loro business (socio, tramite l'acquisto di azioni). Su questo argomento torneremo in separata trattazione.

I concetti dell’investimento sui fondamentali sono essenzialmente concetti semplici e di fondamento esclusivamente razionale: si usano indici economici aziendali e formule derivate da questi (le “formule magiche”) per misurare la bontà di una azienda, oggi, e le prospettive future. Il concetto di base è che una azienda che abbia oggi dei bilanci positivi e solidi e che abbia altresì delle concrete prospettive di migliorarli è una azienda che probabilmente desterà interesse del mercato, sarà seguita con interesse dalla comunità finanziaria, avrà quindi in prospettiva valutazioni per azione che sono destinate ad apprezzarsi grazie all’ipotesi di una crescente domanda del titolo. Tutto ciò è molto bello ed appare anche "sano" rispetto al concetto di "pura scommessa", che invece sta dietro un'opzione, un derivato future o di un certificato. Il mercato, secondo questa filosofia d'azione, è essenzialmente interessato agli utili societari ed alla loro crescita nel tempo, ovvero dovrebbe scontare nei prezzi la futura crescita/decrescita degli utili, dunque il mercato fondamentalmente legge il bilancio attuale per valutare le prospettive di un titolo secondo una logica di mercato efficiente.

Nel mio testo Trading Ways espongo quelle che sono le principali critiche a questo modello, critiche del tutto leggittime perchè quanto successo nella storia (es nel 2009) dimostra come il mercato attraversi fasi di profondo "mutamento d'umore", fino alla pazzia, tali da veder prezzare un'azienda, sui mercati finanziari, meno della sua posizione finanziaria netta. Il titolo in alcuni casi vale meno di quanto realmente disponibile in azienda (in cassa) esclusi oltretutto gli asset aziendali e le attività produttive, circostanza che lascia intendere quanto possa essere trascurabile, in determinati momenti, l’aspetto fondamentale e dunque l’aspetto oggettivo di valutazione di un business. Ciò nonostante questo tipo di operatività, se rigorosamente applicata (es con i metodi di Benjamin Graham e David Dodd, oppure di di Warren Buffett o di Joel Greenblatt) ha dimostrato di fornire risultati eccezionali, tanto più quanto si riesce ad approfittare dei momenti di irrazionalità del mercato e ad saper selezionare i titoli con alcuni parametri. Sebbene l’analisi economica aziendale sia una professione, si tratta di impratichirsi con dei calcoli oggettivamente semplici (calcoli aritmetici) ma comunque lunghi ed articolati in cui spesso si rischia di “perdersi" e che per alcuni, come il sottoscritto, sono estremamente tediosi, addirittura "insopportabili". Alcuni indici aziendali sono particolarmente importanti, come il ROC, il ROA e lo EY, che sono discussi sempre nel mio testo, e che forse sono forse i migliori per valutare i fondamentali delle aziende. Le azioni che ottengono “buoni valori” per questi parametri sono quelle che possono essere selezionate e tenute in portafoglio per un periodo generalmente lungo, in fiduciosa attesa di veder concretizzato un apprezzamento delle quotazioni ; la prassi prevede mediamente un anno ma operativamente da tenere anche di più se lo scenario fondamentale appare buono ed il trend conferma la tendenza rialzista. Altre modalità prevedono di guardare indicatori addirittura più semplici, come il rapporto debit/equity o prezzo/utili o il prezzo/book value. In alcuni casi addirittura l'analisi viene eseguita su aspetti più qualitativi che quantitativi, come ad esempio la notorietà di un brand (marchio), fra cui spicca l'esempio di Coca Cola, il fatto di avere risultati prevedibili, vantaggi competitivi ed altro ancora.

Probabilmente il sottoscritto non è la persona migliore per insegnare questo tipo di operatività, essendo nativamente più orientato al "mordi e fuggi" che all'investimento sui fondamentali (atteggiamento che è funzione anche del capitale a disposizione), e riconoscendo/temendo molti dei limiti dell'operatività sui fondamentali. Vedendo però con i miei stessi occhi i portafogli di alcuni conoscenti, che sono nati con 20.000 euro nel 2000 e che con questo metodo, ad oggi (2014) valgono più di 500.000 euro (fra value investing, re-investimento dei dividendi, immissione di nuova liquidità ecc...), mi sono un po ricreduto su questa modalità. In sintesi, ed a mio modesto parere, risulta molto appropriata almeno per chi, avendo un capitale rilevante, voglia costruirsi una rendita finanziaria (ossia quella del dividendo), almeno con una parte del proprio capitale, preservandone il suo valore nel tempo e potenzialmente vedendolo anche crescere in modo rilevante (in funzione delle condizioni di mercato) rispetto ad un titolo di debito (obbligazione).

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Roma, Maggio 2014
Fabio Longo

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